Il Castelmagno è un formaggio piemontese d’importanza storica prodotto in alcuni comuni della provincia di Cuneo con latte di vacca e un’eventuale aggiunta di latte di pecora e capra. L’origine del Castelmagno è antichissima: esso è forse di poco posteriore, se non contemporaneo, al Gorgonzola, che era già conosciuto nel 1100.
Il formaggio si presenta in forma cilindrica a facce piane del diametro di 15- 25 cm, scalzo di 12- 20 cm e peso variabile dai 2 ai 7 kg. La crosta è sottile e liscia di colore giallo rossastra nelle forme più fresche ed assume una conformazione rugosa e una colorazione ocrea – brunastra nelle forme più stagionate. La pasta molto friabile e priva di occhiature è di colore bianco avorio con la tendenza a virare ad una colorazione giallo ocrea e a presentare venature blu-verdi nelle forme più stagionate. La presenza di venature è dovuta allo sviluppo di speciali muffe, appartenenti al genere pennicillium, che contraddistinguono i cosiddetti formaggi erborinati o a pasta blu. L’ “erborinatura”, termine che deriva dal vocabolo dialettale lombardo “erborin” e significa prezzemolo, nel Castelmagno si sviluppa naturalmente con la stagionatura senza necessità di inoculo di muffe specifiche.
Il sapore fine è delicato diventa forte e piccante man mano che aumenta il periodo di stagionatura.
L’autenticità del prodotto è garantita dalla presenza del marchio impresso in rilievo su ciascuna forma e stampato al centro della caratteristica etichetta che ricorda la forma di una croce occitana.
Il latte utilizzato è ottenuto dall’unione del latte di due mungiture di cui il primo conservato a bassa temperatura ed eventualmente scremato per affioramento o centrifugazione. La coagulazione viene effettuata su latte crudo riscaldato in caldaie di acciaio sino a 35- 38 °C utilizzando caglio liquido. La cagliata viene quindi rotta fino alla dimensione di una nocciola (ma in alcuni casi si arriva sino al chicco di riso), lasciata riposare sotto siero per un tempo variabile dei 5 ai 30 minuti ed infine estratta e messa in teli dove viene lasciata scolare per circa 24 ore. Al termine di questo periodo la cagliata viene tagliata a fette ed immersa in vasche di acciaio o plastica contenenti del siero della lavorazione del giorno o di lavorazioni precedenti. In questo siero la cagliata viene lasciata in genere per 2-3 giorni dopo di che viene estratta e tritata. Il trito viene quindi salato con sale grosso, posto in fascere di plastica o acciaio e pressato per 24 – 48 ore al fine di facilitarne lo spurgo. La stagionatura, effettuata in locali naturali o in celle fresche e umide, si protrae per almeno due mesi.
L’utilizzo in cucina del formaggio Castelmagno è svariato. Si può gustare così com’è, oppure abbinato ad un miele, meglio se di tiglio o con una melata di quercia, oppure si presta a diverse preparazioni di gnocchi, torte salate, polenta o fondute, ma la sua “morte”, come si dice è il classico Risotto al Castelmagno.